Care figlie, l’idea più adeguata per cogliere qualcosa del concetto di Dio è quella della sua immensità. Chi è capace di comprendere con la propria debole intelligenza l’Essere che i cieli e la terra, con tutta la loro estensione apparentemente infinita, non possono contenere? E quale concetto più degno di Dio di quello della sua incomprensibilità? Quale modo può esserci migliore che quello di sperimentare la propria piccolezza per comprenderlo, affinché l’uomo, vermiciattolo della terra, riconosca quanto è grande il suo Dio?
Da ciò nascono quegli affetti con i quali tanto degnamente si onora e si venera la divina Maestà di Dio: l’ammirazione, lo stupore, l’annientamento volontario e il rendimento di grazie per la bontà di chi, essendo così grande, si degna di abbassarsi fino a noi, di accettare le nostre offerte e la nostra piccolezza. Compenetrato da questo pensiero, Salomone si abbandona con tutto il suo popolo alla gioia della edificazione del tempio e dice: “Ma è proprio vero che Dio abita con gli uomini sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!”. Come aveva ragione questo grande saggio!
Egli sapeva che la casa di Dio è molto vasta e spaziosa; il luogo del suo possesso così eccelso e immenso che non ha limiti; infatti l’universo intero con tutta la sua ampiezza, il firmamento con i suoi spazi immaginifici sono la dimora, il tempio, il tabernacolo del nostro Dio. Nondimeno la creazione visibile e invisibile è angusta rispetto alla grandezza del Creatore, il quale, anche se si realizzassero tutti i mondi possibili, non potrebbe essere da essi contenuto pienamente, perché Gesù soltanto può comprendere Dio in tutta la sua grandezza. Solo Dio contiene Dio, perché Egli solo è uguale a se stesso, e tuttavia ha tanto amato la sua creatura che ha voluto non solo abitare con lei, ma dentro di lei.
Pensiamo, figlie mie, che i nostri corpi sono templi dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto da Dio e che Egli sta sempre con noi. E’ questa una delle grandi e avvincenti meraviglie dell’Eucaristia: in essa e per essa l’uomo diventa tabernacolo di Dio.
Una di voi mi dice che desidera sapere che cosa è il mondo. Il mondo, figlia mia, non è altro che un vasto e magnifico tabernacolo. Ma c’è una cosa ancora più importante del fatto che alcuni corpi dimorano in altri corpi, la materia nella materia, ed è il fatto che lo spirito abita nella materia, l’anima dentro il corpo. Il corpo umano viene ad essere così tabernacolo dell’anima razionale. Pertanto, se scompare la nostra casa terrena, non ci dobbiamo preoccupare poiché ne possediamo un’altra edificata nel cielo dal buon Gesù.
Avendo compreso questo non ti meraviglierai se, salendo per induzione dal minore al maggiore, giungiamo ad argomentare che la nostra anima è a sua volta tabernacolo, non già di un altro spirito creato, bensì di Dio stesso.
A questo tu mi puoi obiettare che è troppo piccolo, vile e miserabile questo recinto perché Dio in persona possa dimorarvi. Però io ti dico: “Non è forse vile e basso il corpo creato con il fango della terra, anche se con arte mirabile, per servire da abitazione ad un essere così nobile come lo spirito fatto a immagine e somiglianza dello Spirito puro?
Ricordati, figlia mia, che non è cosa indegna del Creatore abitare nel seno della creatura come in un proprio tabernacolo, e ancor meno della sua creatura razionale. Non dimenticare che l’uomo, anche nel semplice ordine naturale, è destinato ad essere tabernacolo del suo Creatore e che possiamo dire senza alcun timore di sbagliare: “Egli che mi creò riposò nel mio tabernacolo”. E se non sei convinta di questo, dimmi: “Qual è altrimenti il destino dell’anima umana per la condizione naturale delle potenze di cui è dotata?”.
Non è altro, figlia mia, che quello di possedere il bene, unico elemento che le perfeziona: il bene proprio della ragione e della volontà, la verità e l’ordine. E non una parte di bene, ma il Bene stesso, il Bene infinito, immutabile. L’ambizione del nostro spirito infatti non si può soddisfare con meno, né si estinguono la fame e la sete del divino che bruciano e consumano il nostro cuore se non con questo Bene che è Dio stesso, verità somma, felicità inestinguibile. Così possiamo esclamare con verità: “Dio mio e mio tutto!”. Che vuoi di più? quale maggiore fortuna puoi desiderare? Sono sicura, Signore, che il bene essenziale della mia anima è possedere il mio Dio, abitare in Lui e che Egli dimori in me stabilmente.
Care figlie, è mio desiderio farvi conoscere ciò che io comprendo riguardo all’Essere divino nelle sue relazioni di creatore, conservatore e ordinatore di tutte le creature.
Dio doveva abitare l’universo che per pura sua bontà aveva tratto dal nulla. Colui che è in se stesso la propria dimora e non abita in edifici costruiti dalle mani dell’uomo, non aveva bisogno di costruirsi palazzi fuori di se stesso e volendo abitare in un luogo sembrò che non potesse eleggere altro che il cielo, per cui il Profeta dice: “I cieli dei cieli sono per il Signore; Egli donò la terra agli uomini”.
Tuttavia possiamo forse pensare che Colui il quale con la sua sola volontà sostiene l’universo perché non precipiti nell’abisso del nulla dal quale fu tratto con un semplice atto della volontà divina, voglia abbandonare le creature da Lui formate e che senza la sua presenza non potrebbero conservarsi, come cose senza valore? Egli non poteva lasciare le sue pecore nelle capanne deserte senza pastore e infatti il Profeta regale afferma con sicurezza che Dio pose nel sole il suo tabernacolo. Dio stesso ci dice: “Non riempio io il cielo e la terra?”.
Sì, figlie mie, i cieli e la terra sono pieni della sua maestà e della sua gloria. Sì, la terra è lo sgabello dei suoi piedi. Se è così, ditemi: “Colui che abita nei cieli e sulla terra disprezzerà forse la dimora che gli offre la sua creatura razionale, l’uomo che Egli costituì sovrano della creazione visibile, con una gloria poco inferiore a quella degli angeli?”. Si deve credere dunque che in tutto l’universo materiale non ci sia una dimora più degna e gradita al buon Gesù che l’uomo, nel quale Egli è presente in tutti i modi.
Dio sta nelle creature per essenza, presenza e potenza, dando a tutte l’essere che possiedono, conoscendole intimamente e dotandole dell’energia con cui compiono le loro azioni. Cioè, la stessa sostanza di Dio in modo vero e reale si trova in tutte le creature e non vi è angolo così nascosto o profondo dove non si trovi tutta la sua Divinità. E ditemi, figlie mie, se Dio abita in modo così mirabile nelle creature, per quanto vili esse siano, come abiterà nell’uomo che l’essenza razionale rende più nobile di tutte le realtà visibili e corporee?
Se il motivo per cui Dio si trova in tutte le creature sta nella partecipazione che esse hanno con l’Essere divino, è ragionevole pensare che Dio si trovi in modo più eccellente dove la partecipazione al suo Essere e alle sue perfezioni è maggiore, come avviene nelle creature spirituali. Dio sta in tutte le cose anche come presenza, perché le conosce chiaramente e distintamente, dato che in ogni luogo i suoi occhi penetranti contemplano i buoni e i cattivi e scrutano i cuori di tutti.
Care figlie, chi può dubitare che l’uomo, il quale nobilitato dalla presenza di Dio pratica la virtù operando in conformità alla legge, all’interesse e alla dignità del suo Creatore, sia un degno tabernacolo del suo Dio, del Dio di tutte le virtù e che dimora nel luogo santo?
Questo suo modo eccellentissimo di abitare nell’uomo ci invita a considerarlo dal punto di vista più elevato dell’ordine soprannaturale, al quale credo che di fatto appartenga tutto ciò che si riferisce alla virtù e alla santità. Ah, figlie mie, come si allarga qui il cuore! Come vorrei potervi spiegare ciò che l’anima sente quando è tabernacolo del suo Dio!
Considerate che se l’uomo già per natura è destinato ad essere tabernacolo del suo Dio, quanto più lo sarà per grazia, diventando per opera di questa un essere più perfetto, un essere che non solo sorpassa tutte le cose visibili, ma si eleva al di sopra delle invisibili, fino a raggiungere la sfera e l’ordine stesso di Dio.
L’ordine soprannaturale non distrugge né annulla la natura, sul fondamento della quale si innalza; anzi la purifica, l’abbellisce e la perfeziona e così, lungi dallo sviare l’uomo dal suo destino naturale, lo conduce ad esso più direttamente e con maggiore efficacia.
In questo nuovo e più sublime ordine di cose, al quale l’uomo è stato misericordiosamente elevato senza suo merito alcuno, è in lui pienamente delineata la dimora divina, sia riguardo al modo che al grado di perfezione. Così si compiono le parole del nostro dolce Gesù, che disse: “Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio l’amerà e verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora”.
Cioè, figlie mie, le tre divine Persone della Santissima Trinità, che sono una stessa essenza, vengono ad abitare nell’anima dell’uomo giusto, del quale fanno il loro glorioso tabernacolo. Chi potrà spiegare una tale grandezza e una così immensa felicità? E’ tanto potente la grazia che prepara questa regale abitazione da far sì che nell’uomo abiti Dio in tutta la sua realtà trinitaria, e non soltanto una delle Persone divine.
La grazia è ciò che vi è di più grande; la grazia è il più dolce paradiso, il trono maestoso della SS. Trinità. Oh, pazzia dell’uomo che con la maggiore tranquillità commette peccati su peccati, pur sapendo che con un solo peccato mortale scaccia Dio dalla propria anima!
Care figlie, come la S. Eucaristia è la continuazione del mistero dell’Incarnazione sulla terra, così è anche il tipo supremo dell’ordine soprannaturale, del quale essa è la sorgente. Che vi dirò, figlie mie, dell’Eucaristia, dove non già una natura umana si unisce a Dio, bensì ogni singola natura forma un solo corpo con lo stesso Gesù, per cui chi riceve la Comunione diventa corpo e sangue di Dio fatto carne? Andando a ricevere la S. Comunione pensiamo all’onore inestimabile che questa unione eucaristica ci dona. Pensiamo che a motivo della S. Comunione l’uomo può veramente essere chiamato “Cristoforo”, poiché porta in sé Cristo, il Figlio di Dio incarnato.
In Gesù Cristo abita la pienezza di Dio e nella fortunata creatura che partecipa dell’Eucaristia abita la pienezza di Cristo. Di questo, figlie mie, non possiamo minimamente dubitare e perciò dobbiamo sforzarci di ricevere il buon Gesù con grandissimo fervore; poi durante il giorno pensare spesso che Gesù è in noi. Quando le nostre passioni tentano di offuscarci la mente e il cuore, eccitandoci al male, a fare ciò che dispiace a Gesù, pensiamo: “Gesù vive in me ed io voglio vivere in Lui e per Lui. Ciò che la mente e il cuore mi spingono a fare è a Lui gradito? è degno di una sposa di Gesù?”. Diciamo al nostro io, alla superbia e all’amor proprio: “Preparatevi a morire, perché in me dimora il mio Gesù avendomi resa partecipe della sua natura divina. Non voglio ritornare alla mia antica abiezione con quel comportamento che voi mi proponete e che è indegno della mia nobiltà”. (El pan 8, 536-559)