1

ASCOLTIAMO MADRE SPERANZA LE SUE PAROLE E INSEGNAMENTI

Cari figli, consideriamo oggi la parabola degli operai mandati nella vigna. Dio premia secondo i meriti. Il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa, Dio, il quale uscì al mattino molto presto e poi ancora all’ora sesta e all’ora nona, cioè in tutte le età degli uomini, per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna – per porre gli uomini nello stato che corrisponde a ciascuno.

Uscì anche all’ora undicesima e incontrò altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?”. Il Signore non vuole infatti che si passi il tempo nell’ozio, dato che non c’è nulla di più nostro del tempo, che giunge al suo termine quando meno lo pensiamo e dopo la morte è troppo tardi.

Egli disse al suo fattore – Cristo nostro Signore che è colui che ci deve ricompensare-: “Chiama gli operai e dà loro la paga”. Non si ricompensano gli oziosi, ma gli operai, quelli che hanno lavorato. Il Signore diede il medesimo salario ai primi come agli ultimi, perché Egli non premia i giusti soltanto a motivo del tempo più lungo che impegnano nel lavoro, ma soprattutto a motivo della purezza d’intenzione, del fervore del cuore e dello zelo nelle opere.

Gli operai nel ritirare la paga mormoravano dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hanno trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e del caldo”. Quelli che parlano così, figlie mie, sono quegli operai vecchi e mediocri che lodano le proprie cose e disprezzano quelle dei giovani, sebbene questi ultimi siano più perfetti. Essi credono di meritare una maggiore ricompensa perché considerano solo il tempo che portano, e non la perfezione delle opere. Non considerano che Dio dà al fervore con cui si compiono le opere una ricompensa tanto grande da provocare l’invidia dei giusti e dei beati, se questi potessero provare invidia.

Gesù disse: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, cioè molti sono chiamati alla perfezione e pochi coloro che la raggiungono; molti coloro che sembrano emergere in santità, mentre in realtà sono tiepidi; molti i chiamati alla fede e pochi quelli che non le si oppongono.

Ricordiamo sempre che il merito, che ci fa guadagnare il salario della nostra salvezza, è nelle nostre mani se rispondiamo alla chiamata che ci viene rivolta di lavorare nella vigna del regno del nostro Dio. La chiamata ci giunge continuamente perché i raggi del Sole di giustizia, Gesù Cristo, sono sempre pronti ad entrare attraverso le finestre della nostra anima, ed entrano se noi non le chiudiamo. Neppure dimentichiamo, figlie mie, che il tempo utile per meritare è la vita presente fino alla morte, mentre siamo ancora viaggiatori; che la causa del merito è la bontà del nostro Dio e il premio corrisponde più alla perfezione delle opere che al numero e alla durata di esse.

Dio, continuando sempre a chiamare l’uomo che non fa nulla per guadagnare il suo salario per l’eternità, si manifesta infinitamente buono e misericordioso, e infinitamente giusto nel dargli la ricompensa secondo la perfezione delle sue opere, anche se compiute nell’undicesima ora. Non dimenticate, figlie mie, che la pigrizia degli operai oziosi si vince con la diligenza e lo zelo, e l’invidia degli operai scontenti con la carità…..

Care figlie, il Natale è vicino e credo che siate tutte intente a preparare nel vostro cuore una culla al buon Gesù. È Lui, figlie mie, che deve riempire il nostro cuore; per questo dobbiamo vuotarlo di ciò che non gli piace, come l’«IO», l’amor proprio e l’orgoglio, cercando invece di ornarlo con le belle virtù della carità, umiltà, unite al sacrificio e alla mortificazione. Col nostro buon esempio portiamo a Lui i fratelli. Molti vivono lontani da questo Padre buono e noi EAM dobbiamo lavorare perché tali anime lo conoscano e lo amino.

Sarei anche molto grata a Gesù se coloro che sono state elevate in autorità, ricordassero che devono bandire dalle nostre case la parola SUPERIORA per usare quella di Madre, perché se ci fermiamo alla prima difficilmente assolveremo l’incarico che Gesù, per mezzo dei superiori, ci ha proposto, cioè di portare a Lui le anime che ci ha affidate.

Ci sono delle superiore che mettono tutto l’impegno nelle cose temporali trascurando la carità e il progresso spirituale delle anime. Altre, ritenendosi più spirituali o false mistiche, s’impegnano nelle cose spirituali, lasciando da parte quelle materiali e perfino le persone malate; per questo le vediamo agitate per la salute spirituale dimenticando perfino la carità.

C’è anche chi, per falsa umiltà, uccide i doni ricevute da Gesù e non trova mai il momento di parlare o di agire e spesso dicono, quella consorella manca molto alla carità. Ma chi si azzarda a dirle qualche cosa? Ha paura di essere troppo dura. Vede un’altra piena di difetti e pensa: come posso correggerla se ho più difetti di lei? L’altra non fa il suo dovere e non lo fa fare alle altre, però non può dirle nulla perché conosce se stessa e teme di esagerare, di essere troppo dura.

Altre volte dice che sembra le abbiano tarpato le ali e si sente schiacciata da tanta timidezza che non si sa spiegare; la povera figlia non si accorge che questa timidezza nasce da un raffinato amor proprio. Le figlie l’amano, la venerano e per non cessare di essere il loro idolo, si mostra indulgente perfino nelle cose nelle quali dovrebbe essere esigente; per salvare la propria popolarità sacrifica il suo dovere e per essere padrona dei loro cuori apre la porta ad ogni abuso.

L’autentica madre abbraccia tutto, si preoccupa di tutto, vigila e si consuma per le anime delle figlie e dei ricoverati, fortificandoli con l’amore di Gesù. Sa bene che la dignità ricevuta col suo incarico non la trasforma in nuova creatura per cui non smette di essere miserevole, capace di commettere, se Gesù non la sostiene, i peggiori errori; proprio per questo non si scandalizza dei difetti delle figlie; con attenzione materna e con perseveranza segue le figlie e vigila su di loro accorgendosi anche dei minimi dettagli nel loro comportamento.

Per lei è duro rimproverare e vegliare, ma sa anche che tacere può procurare la morte delle anime che le sono state affidate. Non vorrebbe disgustare nessuno, ma vede che ci sono delle persone che occorre riprendere e correggere. Lei sa trattare le figlie con delicatezza e amore, ma fa capire loro che sa anche farsi temere, rispettare ed obbedire senza valutare se le figlie l’ameranno di più o di meno.

La sua unica preoccupazione è che le figlie progrediscano nella perfezione, imparino ad amare Gesù e sappiano che la pietra basilare sulla quale deve poggiare l’edificio della santità non è recitare un numero infinito di preghiere, ma la carità, l’obbedienza, l’osservanza delle Costituzioni, l’abnegazione e il sacrificio; e tali virtù non le possederanno se nei cuori manca la vera umiltà…..

Care figlie, una di voi mi chiede se, possedendo la virtù dell’umiltà, può dire di possedere tutte le virtù. Io rispondo di no, perché l’umiltà è solo una parte dell’abnegazione. Questa deve essere totale, quindi non soltanto distacco dalle cose che allettano il nostro appetito, ma anche da se stessi, e credo che questo sia l’aspetto più sublime ed eroico della perfezione. A tale grado di virtù siamo chiamate noi anime che abbiamo la fortuna di seguire Gesù; infatti Egli ha detto: “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

Senza la pratica dell’abnegazione andiamo male, figlie mie, perché non c’è virtù e neppure moralità senza il dominio delle passioni, e questo sopratutto vuol dire rinnegare se stessi.

Un’altra di voi mi chiede: “Madre, Gesù ha detto: «Prendete il mio giogo su di voi e troverete riposo per le vostre anime». Forse Gesù chiama riposo portare un giogo e il suo peso?”. “Sì, figlia mia, e bada bene che Egli stesso avverte: «perché il mio giogo è soave e il mio carico leggero», e quindi come può non essere dolce per un’Ancella dell’Amore Misericordioso, e per ogni anima a Lui consacrata, portare il giogo del proprio dovere, anche se richiede fatica, sofferenze e privazioni?….

Signore, non benessere ma soffrire tutto quello che Tu credi! Io voglio vivere soffrendo e amarti soffrendo. E’ così, Gesù mio, non desidero altro.

Fa’, Gesù mio, che le figlie e i figli si santifichino e vivano come Tu vuoi. Aiutali, Gesù mio, perché ho paura che qualcuna si levi in superbia pensando che ha fatto chissà che.

Io, Gesù mio, non voglio altro che quello che Tu vuoi, ma soprattutto desidero che i figli e le figlie siamo uniti, alla tua destra e alla tua sinistra facendo il bene, dando soddisfazioni a Te con grande tranquillità e facendo per amore quello che Tu vuoi, che sia soffrire, che sia amarti, che sia piangere per cose che amareggiano un po’ … tutto, Gesù mio!

Gesù, aiuta quelli che soffrono e se vuoi, te lo dico di cuore, te l’ho già detto l’altro giorno e te lo ripeto tante volte: se Tu vuoi, dà a me quello che Tu dovresti soffrire per loro. Io credo, Gesù mio che Tu metterai un rimedio se io non sono abbastanza forte, però te lo assicuro che, aiutata da Te, ti posso aiutare a portare la sofferenza, però che i figli e le figlie diano questa consolazione alla Tua Chiesa.

Concedi a  tutti i figli di vivere per Te, per darti gloria e che possano aiutare gli altri a santificarsi. Fallo, Gesù mio, Tu puoi farlo.

Io vedo che Tu sei un Padre che ti prendi cura di tutti e quando io vengo a dirti qualcosa Tu già la sapevi ma mi stavi aspettando da tanto tempo. Gesù mio, aiutaci. Aiuta i figli e le figlie e ricorda che è facile tendere a quello che è più piacevole e non ripugna e vivere senza dolore è più gradevole al corpo e al cuore ma questo per me no, Gesù mio, io voglio solo vivere per amarti e amarti per soffrire, perché non voglio che Tu soffra, Gesù mio, voglio soffrire io perché Ti già soffri abbastanza Gesù mio! Non te ne andare, Gesù!….

“Ricordo che stavo a Roma, all’inizio della fondazione. C’era una suora che mi faceva soffrire perché era superficiale, mi sembrava che non stesse unita al Signore come io desideravo, mi sembrava una farfalla che girava qua e là. Io pregavo molto per questa sorella. Pregavo, sì, ma a volte la pazienza mi falliva, non avevo capito bene che con lei dovevo usare più pazienza che rigore.

Un giorno stavamo nella casa vecchia e le suore stavano nell’orto dove oggi sorge la Casa Generalizia. Quel famoso giorno io ero irritata perché quella figlia me ne aveva combinato una grossa. Io mi affacciai alla finestra e, vedendola nell’orto pensai: “Se potessi andare da lei a darle una buona lezione ma appena torna le darò una penitenza che se la ricorderà per tutta la vita”. E’ inutile che mi dicano che non ero irritata e inoltre ero decisa a darle una forte penitenza.

Ero immersa in questi pensieri quando, vedrete che successe, figli miei, passò un uomo con un carro carico di frutta, tirato da un cavallo. Questo, mentre passava davanti alla mia finestra inciampò e cadde, causando la perdita della frutta che si sparse per terra.

Quell’uomo, senza badare alla perdita, si affrettò a sciogliere le redini del suo cavallo, lo aiutò ad alzarsi da terra e con delicatezza gli accarezzava e puliva le ferite perché la polvere non le infettasse.

Io contemplavo quella scena mentre aspettavo una figlia per darle una forte lezione; ero talmente presa da questo pensiero che non pensai che quella caduta del cavallo avesse qualcosa da insegnarmi.

Intanto andai in estasi e dissi: “Signore, perché devo contemplare la scena del cavallo?” E Gesù: “Non ti sei accorta? Sì che ti riguarda, tu stai aspettando una figlia per farle questo e quest’altro, perché questa figlia sta facendo cose che non ti sembrano buone; ed è una creatura, un’anima consacrata a me e tu, quando viene, ti prepari a dirle tante cose e vedrai che penitenza le darai! Cosa ha fatto l’uomo col suo cavallo? Avrai notato come si è preoccupato di aiutarlo ad alzarsi e gli ha pulito bene le piaghe perché la polvere non le infettasse, senza fermarsi a considerare la perdita causata dalla caduta”.

Quando tornò quella figlia, le diedi un abbraccio, perché francamente, la lezione fu così grande che non ero capace di dirle niente. Il Signore, con il cavallo mi aveva insegnato che dovevo pulirle la polvere e trattarla con affetto, e aiutata da Gesù lo feci. Questo episodio mi servì moltissimo”.

Ci sono anche occasioni, nella vita della Madre in cui ha applicato quasi alla lettera, in versione moderna, la parabola del Buon Samaritano….

Non dimentichiamo che l’amore infinito di Gesù si è ri­volto a noi da tutta l’eternità e ci ha scelti. Come rispon­diamo?

Credo che i mezzi da usare per questo sono: abituarsi a vedere Gesù in tutto, donarci totalmente a Lui mediante l’esercizio della carità, sfruttando ogni occasione per fare il bene ai fratelli. Non dimentichiamo che la vita è molto breve, che il tempo dell’amore terreno termina molto presto, e che è l’amore a prepararci il posto nel cielo.

Mi sembra che Gesù rivolga a ciascuno di noi questa do­manda:

«Vorrei che foste avvocati caritatevoli e mediatori dei miei poveri, soprattutto dei deboli, degli afflitti e di quelli che hanno avuto la disgrazia di allontanarmi con il peccato. Dite loro che il mio Amore Misericordioso li attende per per­donarli e unirsi a loro per sempre. Se farete questo console­rete deliziosamente il mio Cuore ferito, ed Io unirò la vostra preghiera alla mia. Conoscete bene, infatti, come mi sono comportato sulla croce. Se farete questo, Io vi riconoscerò come membri della famiglia del mio Amore Misericordioso e vi preparerò la ricompensa nel cielo».

Non perdiamo tempo! Sforziamoci per essere come Gesù ci vuole».

A Gesù che ci ha chiamati alla vita consacrata diciamo spesso durante il giorno:

«Gesù mio, aiutami a darti quanto mi chiedi. Fa che in ogni momento della mia vita compia solo a tua volontà. E’ vero che sono molto povero, Gesù mio, però sono tanto felice di possedere una libertà da offrirti,

  • un cuore per amarti,
  • una intelligenza per conoscerti e
  • una voce per parlare di te ai miei fratelli; sentimenti da sacrificarti,
  • un cor­po da sottomettere a tutte le sofferenze che Tu vorrai darmi,
  • un tempo più o meno lungo per servirti con l’esercizio della carità e
  • infine l’ eternità per amarti.
  • A tutto questo posso ag­giungere la gioia di aiutare i bambini a conoscerti e a far sì che si abituino a vederti accanto a loro come Padre buono sia nel dolore che nella gioia….

Impariamo dall’Amore Misericordioso ad usare misericordia con il prossimo. Quanto più un uomo è debole, povero e miserabile, tanta maggiore attrattiva Gesù sente per lui. Cioè, la sua misericordia è più grande, la sua bontà straordinaria; lo vediamo attendere o bussare alla porta di un’anima tiepida o colpevole. Noi dobbiamo fare onore al buon Gesù amando molto i poveri peccatori, pregando per loro, sacrificandoci e facendo quanto possiamo perché tornino a Gesù. (Consigli pratici, 1933, n. 80)

  • Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.

Abbiamo bisogno di pregare. Che cosa c’è di più essenziale che fare bene la nostra preghiera? Per farla bene abbiamo bisogno di riflettere continuamente sulle nostre necessità spirituali e corporali, per presentarle a Dio nella meditazione. Ci è assai necessaria l’umiltà, poiché nella preghiera trattiamo con Dio. L’umiltà si deduce dalla natura stessa della preghiera, dato che la grazia è essenzialmente gratuita. Infatti, tutti siamo mendicanti davanti a Dio, e dobbiamo implorare dal suo amore e dalla sua misericordia quanto non possiamo in alcun modo ottenere per giustizia. Pertanto dobbiamo chiedere a Dio nella preghiera tutto ciò di cui abbiamo bisogno, non basandoci sui nostri meriti, sacrifici e virtù, ma sull’amore e la misericordia del buon Gesù, il quale ci compatisce con grande amore, se confessiamo con verità la nostra miseria e nullità. Egli ascolta e soccorre sempre l’anima umile che, fiduciosa nel suo amore, nella sua misericordia e onnipotenza, gli chiede, non beni materiali e superflui, ma la sua grazia e quanto le necessita per avanzare nella virtù e nella santità.  (Le Mortificazioni, 1955, n. 158-159)

Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.

Cari figli, ricordate quanto è importante e sicuro seguire il criterio insegnato nella dottrina delle beatitudini e vedrete che l’unica felicità positiva in questo mondo è vivere in armonia con le norme delle virtù cristiane, purificare l’anima da ogni macchia di peccato, tenere a freno con severa mortificazione le passioni che ci fanno smarrire, osservare scrupolosamente i divini comandamenti, distaccarci dai beni perituri del mondo e lavorare per conquistare quelli eterni; in una parola, amare Dio su tutte le cose e il nostro prossimo per amore di Dio.

  • Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.

Come vedete, per essere virtuosi, e quindi essere felici, è necessario prima di tutto purificare l’anima. “Beati i puri di cuore” dice il divino Maestro. Ora, dei numerosi e salutari effetti che la sofferenza produce nelle anime che sanno sopportarla i principali sono quelli di purificarle, illuminarle e innalzarle alla più alla perfezione. Altrimenti, ditemi: come aprirono i loro occhi S. Paolo e il figlio prodigo per vedere e detestare le loro colpe? S. Paolo era cieco quando gli apparve Gesù e lo atterrò sulla strada, ma proprio allora riconobbe i suoi errori e ricorse a Dio. Quando il figlio prodigo si trovò risotto in miseria ed afflitto dalla fame, allora disse: “Andrò e mi getterò ai piedi di mio padre”: Invece, finché era vissuto nella prosperità aveva pensato soltanto a soddisfare i suoi vizi.

  • Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza….

Spesso succede che il demonio scoraggi le anime che hanno avuto la disgrazia di offendere Gesù, insinuando in loro pensieri sciocchi, come per esempio, che ormai non possono più aspirare alla perfezione e inutilmente si illudono che Gesù le ami come prima di averlo offeso. Il demonio fa sì che queste anime non si umilino ricorrendo a Gesù per implorare la sua misericordia.  Che pena che queste anime non si accorgano dell’inganno e non si impegnino per essere, non solo fervorose, ma sante, fiduciose che Gesù le aiuterà con la sua grazia e che gli altri religiosi mai rinfacceranno loro di essere state più o meno leggere, di aver o no offeso Gesù perché Egli solo  deve giudicare le azioni di ciascuno.

In questi casi la nostra unica riflessione è: «Gesù ha permesso a questo mio fratello di cadere in quella mancanza e di allontanarsi più o meno dalla fedeltà alla vita religiosa perché vuole che diventi un grande santo. e si servirà di questa caduta per radicarlo nell’umiltà, nella diffidenza di sé, nel riconoscimento del suo amore a Gesù. Egli  ha voluto  che portassimo il prezioso tesoro di grazia in un fragile vaso di argilla affinché si riconosca che quanto di grande c’è in noi è opera sua».

Se qualcuno ha avuto la disgrazia di offendere Gesù, non esiti un istante, corra da Lui per chiedergli perdono perché egli l’accolga come Padre buono, poiché Egli l’attende con grande trepidazione e tenerezza. Allora vedrete come l’Amore Misericordioso vi stringerà a sé con l’infinita dolcezza del suo cuore e vi meraviglierete di costatare che Egli stesso vi ha attirato a sè proprio quando lo credevate adirato e pronto, con la spada in mano, a vendicarsi delle offese ricevute.

E non si ferma qui la sua bontà. Egli promette a questa anima di spalancarle le porte del cielo se d’ora in poi si comporterà come autentica consacrata e amerà con affetto filiale la Santissima Madre, nella quale, dopo Gesù,  si deve riporre tutta la fiducia.

Credo che ogni creatura, ma specialmente noi della famiglia dell’Amore Misericordioso, dobbiamo essergli molto riconoscenti e dimostrargli il più possibile questa gratitudine. Sforziamoci di essere molto caritatevoli, pazienti, sacrificati e impegnati ad eliminare ogni imperfezione per imitare tutte le virtù di Dio. Ricordiamoci che Gesù ci chiede di essere non anime comuni, ma sante; che con il buon esempio contribuiamo alla santificazione dei fratelli e che il nostro distintivo sia un cuore materno arricchito delle suddette virtù…..

Dobbiamo ricordare con frequenza che la grazia è un aiuto soprannaturale transitorio che Dio ci dona per illuminare il nostro intelletto e dare alla nostra volontà la forza di realizzare atti soprannaturali. Essa opera direttamente sulle nostre facoltà spirituali, intelligenza e volontà, non solo per elevarle nell’ordine divino, ma anche per metterle in esercizio e far sì che producano atti soprannaturali. Per ciascuno di questi atti ci è necessaria la grazia attuale perché deve esserci proporzione tra l’effetto e la causa. Così nella conversione, cioè nel passaggio dallo stato di peccato mortale allo stato di grazia, abbiamo bisogno della grazia soprannaturale per fare gli atti preparatori di fede, speranza, penitenza ed amore; così pure per iniziare il cammino di fede e per il semplice buon desiderio di crescere, che è il primo passo sulla strada della nostra conversione.

Mediante la grazia attuale potremo perseverare nel bene durante tutta la vita, fino all’ora della nostra morte. Ma a tal fine è necessario resistere alle tentazioni, che assalgono anche le anime giuste e sono spesso tanto forti che non si potrebbe vincere senza l’aiuto di Dio. Per questa ragione il buon Gesù, nel suo discorso durante l’ultima cena, raccomandò tanto ai suoi apostoli e, attraverso di essi a noi, di vigilare e pregare per non cadere nelle tentazioni, ossia di non fidarsi mai delle proprie forze, ma di confidare nella sua grazia.

Dobbiamo tenere ben presente che durante questo esilio dovremo sempre lottare contro i nostri nemici spirituali che sono la concupiscenza, il mondo e il demonio. Sappiamo che la concupiscenza è un nemico interiore che portiamo con noi senza potercene mai separare, che lotta instancabilmente per vincerci e non bada a tempo, luogo ed ora. Il mondo e il demonio sono nemici esterni che cercano con pertinacia di attizzare in noi il fuoco della concupiscenza.

Nessuno ignora né deve ignorare che la concupiscenza della carne è l’amore disordinato dei piaceri e dei sensi. Il piacere in sé non è cattivo; Dio lo permette in ordine ad un fine superiore. Dio ha posto un certo sapore e gusto nei cibi perché ci stimolino a rinvigorire le nostre forze naturali, ma l’uomo ingrato e carnale ha preso occasione da questo piacere per dare al proprio corpo le più grossolane soddisfazioni nel mangiare e nel bere. Cambiando il piacere in ghiottoneria, invece di mangiare per vivere, sembra che viva per mangiare. Mai credono di aver soddisfatto la vera necessità; da ciò nascono quegli eccessi nel mangiare e nel bere, che si oppongono alla virtù della temperanza…..

Carissime figlie, suppongo che tutte vi stiate preparando per trascorrere questo tempo di Quaresima molto unite al Buon Gesù e che farete seri propositi di dargli consolazione in tutto e di comportarvi per l’avvenire come vere Ancelle dell’Amore Misericordioso e che in questi giorni raddoppierete le vostre mortificazioni e penitenze.

Anche io mi preparerò insieme a voi: farò penitenza, piangerò i miei peccati, le mie ingratitudini, le mancanze di carità e il tempo che ho perso e che mi fu concesso per lavorare nell’esercizio della carità e per la mia santificazione. E chiederò al nostro Buon Padre che sia Lui il nostro Giudice ma anche il nostro Padre e Avvocato e piena di fede, amore e confidenza, dirò: “Castigaci, Signore, per le nostre iniquità ma salvaci per la tua misericordia e amore e fa’, Gesù mio, che tutte le mie figlie progrediscano nella virtù e sii Tu, Gesù mio, la loro guida nel pellegrinaggio terreno, perché non siano turbate e non sbaglino il cammino che le conduce a Te. Liberale, Gesù mio, da tutto ciò che le impedisce di arrivare a Te e fa’ che ti amino con tutto il cuore, che giungano a morire a se stesse e a vivere solo per Te.

“Grande è il mio dolore, Gesù mio, al vedere le mie povere figlie tanto sole e perseguitate e perciò ti prego ancora una volta che mi conceda la grazia che si rendano conto che quanto più dura è la prova a cui Tu le sottoponi, più gloriosa è la corona della virtù tribolata”.

Vi chiedo, pregate tutte perché questa vostra madre non abbia altro desiderio di quello che si compia in me la volontà del Nostro Dio e che mai ambisca altra cosa se non soffrire e amare…..

Dio poteva creare un infinito numero di esseri, di differente perfezione e qualità ai quali comunicarsi. Sapendo che il modo migliore di comunicare se stesso era quello di unirsi a qualcuno degli esseri creati, in modo che questi fossero come innestati nella divinità, formando con lei una persona, Egli nella sua infinita bontà scelse questa forma di comunicazione.

Fra tutte le creature alle quali aveva dato vita, l’onnipotenza di Dio scelse la natura umana che in seguito si sarebbe unita efficacemente alla persona del Figlio e ad essa attribuì l’onore incomparabile dell’unione personale con la Maestà divina, perché potesse godere, in modo straordinario, per l’eternità, i tesori della sua gloria infinita.

Dopo aver voluto concedere questa grazia alla santa umanità del Signore, la Provvidenza divina decise anche di più, cioè che la sua bontà non fosse riservata solamente alla persona del Figlio amato ma, per mezzo di Lui, si estendesse ad altre creature. Fra le innumerevoli creature elesse gli uomini e gli angeli che insieme a suo Figlio e partecipando delle sue grazie e della sua gloria, lo adorassero e lodassero eternamente.

Il culmine di tutta la creazione di Dio, il suo coronamento e pienezza è la Chiesa trionfante, cioè la società degli angeli e dei santi uniti nel grande corpo mistico di Gesù Cristo, essendo Egli, Dio e uomo, il capo ed essi soltanto angeli e uomini.

Questo corpo di eletti canterà la grande lode voluta e desiderata dal Creatore. Ognuno degli eletti, angelo o uomo, ha lì il proprio posto e la sua funzione corrispondente alla propria vocazione.         Se ciascuno realizzerà il compito assegnatogli si creerà quell’armonia che sarà l’incanto dell’eternità e la beatitudine del cielo.

Ora a questa società siamo incorporati per grazia, mentre nel futuro lo saremo definitivamente per la gloria e avremo nella vita eterna la nostra ricompensa. Perciò è necessario che già sulla terra ci prepariamo ed esercitiamo a realizzare la lode beatifica.

Loderemo Dio con maggiore pienezza e perfezione, quanto più sulla terra avremo cercato di impegnare la nostra vita per Dio, in conformità alla sua volontà. La gloria dell’unione si realizza per Cristo, con Cristo e in Cristo e per Lui sia ogni onore e gloria a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo.

Due progetti divini guidano l’opera della creazione: uno previo ed assoluto, descritto dalla parola gloria di Dio; l’altro specifico affidato alla nostra libertà, realizza il primo in modo particolare ed è espresso dalla parola unione.

Noi, mediante questa speciale unione con Lui in Gesù Cristo, siamo chiamati a dar lode a Dio. In ciò consisterà la nostra felicità. La creatura non può essere considerata fine ma mezzo per proclamare la gloria di Dio; cioè ogni creatura che esiste deve ricercare l’onore divino raggiungendo l’unione con Lui, poiché l’ultima parola del progetto creatore è la gloria di Dio nell’unione con Gesù Cristo…..

Le cause della caduta. Come potè sgretolarsi questa salda «roccia» in quel modo? Varie sono state le cause. Una eccessiva fiducia in se stesso, tipica dei temperamenti impulsivi e impetuosi come il suo, che facilmente arrivano a una esagerata stima di sé e alla vanagloria. Durante la cena si era mostrato molto presuntuoso e, a mio avviso, il rinnegamento fu una lezione. Gesù aveva avvertito tutti gli apostoli, ma in particolare Pietro loro capo, predicendo la loro vigliaccheria. Pietro aveva subito protestato vivacemente: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io non lo farò». «Anche se dovessi morire con Te, non ti rinnegherò», «perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per Te!». Queste affermazioni furono una mancanza di rispetto verso Gesù e una mancanza di carità verso gli altri apostoli. Gesù insiste nel suo avvertimento e indica il momento preciso e le circostanze del rinnegamento: «Prima che il gallo canti due volte». Ma non ottiene nulla. Pietro indignato scuote la testa e insiste nel dire: «Gli altri… sì, ma io… mai». La sua natura presuntuosa gli impedisce di ritrattarsi; questo genere di persone impara soltanto dall’esperienza. Certamente le sue affermazioni di fedeltà sono molto belle e lodevoli. Anche S. Paolo afferma: «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?», ma sapeva che soltanto la grazia di Dio lo avrebbe fortificato: «Tutto posso in Colui che mi da forza». Pietro, invece, ripone la sua fiducia nelle proprie forze «io…io…». Oggi fanno come Pietro numerose anime consacrate.
Egli aveva goduto nell’ora della cena; colmo di consolazione e di gioia pensa che quel sentimento sia frutto della propria fermezza e si ritiene capace anche delle imprese più ardue. Così succede alle anime consacrate che, credendo di poter contare su se stesse, trascurano con troppa facilità gli amorosi avvertimenti dei loro superiori e pensano come Pietro: «Questo avvertimento va bene per Filippo e Taddeo, non per me che sono saldo come una roccia. Come si può pensare una simile cosa di me!». E così le ammonizioni restano parole al vento fino a quando la triste esperienza fa loro toccare con mano la realtà.
Un altro motivo fu la curiosità, unita alla negligenza nella preghiera e nel vincere se stesso. Pietro non entrò nell’atrio per andare a morire con Gesù, ma per vedere che cosa sarebbe successo.
Come aveva insistito Gesù nel dire: «Vegliate e pregate!» e proprio a Pietro aveva fatto questo particolare rimprovero: «Simone, dormi? Non hai potuto vegliare un’ora sola con me?». Cosa fa Pietro? Poco prima si era impegnato ad andare in carcere a morire con il Maestro, e adesso gli sembra troppo vegliare un’ora con lui; invece di vegliare e pregare, si lascia prendere dalla malinconia e si abbandona al sonno. «Simone, dormi!?»
Cosa rimane delle nostre grandi promesse, dei bellissimi propositi fatti durante gli esercizi spirituali? Quanto poco controlliamo le nostre passioni e i nostri sensi: vista, udito e lingua, per non lasciarci ingannare dalle false impressioni! Così, quando sopraggiunge la tentazione ci troviamo deboli, senza forza, e basta uno sguardo, una parola, un rimprovero e il tradimento si consuma.
La terza causa fu l’occasione cattiva, per la sua imprudenza nell’esporsi al pericolo e nel rimanervi anche dopo l’avvertimento; il timore della morte e il rispetto umano. Dove si trovava Pietro quando rinnegò Gesù? Non sul monte santo, né nel tempio o nel cenacolo, ma nell’anticamera di Caifa, fra gente che spettegolava, in compagnia di soldati, schiavi e servi. Quelle riunioni e quelle compagnie non sono per un discepolo di Gesù. Lì cadde l’uomo forte come una roccia. San Pietro fu abbattuto da una donna, come Adamo nel paradiso.

Gravità della caduta: Pietro rinnega il suo Maestro
Non manca chi scusa Pietro, ma ogni giustificazione è inutile di fronte alle chiare parole di Gesù: «Mi rinnegherai tre volte».
Come Pietro si comportarono alcuni cristiani nell’epoca dei martiri che per un momento di debolezza, negarono Gesù Cristo, forse solo esteriormente, pur di salvare così la vita.
Su un tale fatto pesa il giudizio di Gesù: «Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». Non c’è dunque dubbio che l’azione di Pietro fu colpevole ed egli stesso ne riconobbe la gravità e la pianse amaramente per tutta la vita.

Circostanze della caduta
La caduta dell’apostolo fu più grave per le circostanze che l’accompagnarono.
Chi compie un gesto così grave? L’apostolo prediletto che Gesù stesso aveva posto a capo dei dodici e sul quale avrebbe edificato la Chiesa. Il discepolo favorito dalle cui labbra fu proferita la prima solenne confessione della divinità di Cristo e che Gesù chiamò beato: «Beato sei tu, Simone».
È un uomo molto simpatico per il carattere aperto, gentile e spontaneo e manifesta in modo commovente il suo intenso amore al Maestro. Fu lui che alla domanda di Gesù: «Forse volete andarvene anche voi?» rispose d’impeto con la bella affermazione: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Fu lui che camminò sulle acque incontro al Maestro e disse: «Signore, comanda che io venga da te sulle acque». Fu lui che, per amore, arrivò ad esclamare, sicuro della propria fervorosa e salda lealtà: «Darò la mia vita per te».
L’amore lo spinge ad impugnare la spada e a seguire, anche se da lontano, il Maestro; e non lo avrebbe certamente rinnegato se gli fosse rimasto vicino. Fu l’amore che lo portò sconsideratamente nel palazzo di Caifa. Non era certamente un amore perfetto, ma era vero e scaturiva dal profondo dell’anima. Proprio Pietro, favorito dal Signore, al quale era sinceramente affezionato, cadde in tale profondo e deplorevole errore. Questo c’insegna che dobbiamo evitare la falsa fiducia in noi stessi.
Anche se un’anima consacrata fosse vissuta a lungo felicemente e fedelmente, e fosse stata posta, perché più fidata, alla guida di una Congregazione ed avesse ricevuto grazie speciali e goduto ore di dolce consolazione sul Tabor, non avrebbe per questo nessuna garanzia di immutabile fedeltà, come dimostra l’esempio di san Pietro. «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere». Signore mio Dio, abbi pietà di me!…

Rinnegamento
La caduta fu graduale; l’apostolo sprofondò sempre di più passando da una mancanza ad un’altra peggiore. Cominciò con una fragilità, una bugia detta in un momento di turbamento, un atto di rispetto umano. La portinaia quella notte aveva ricevuto speciali raccomandazioni di vigilare, perché non entrasse nessun estraneo. Quel tipo che voleva stare lì e si mostrava titubante, attirò la sua attenzione. Lo osservò e vide che, invece di entrare nel palazzo, si era fermato fuori nell’atrio.
Che voleva quel tale? Aveva dei sospetti e dopo alcuni istanti entrò nell’atrio e lo osservò più da vicino, quando egli si ritirò in disparte nella penombra e si sedette presso il fuoco; vedendolo alquanto pallido, inquieto e turbato le venne l’idea di dire, indicandolo col dito: «Anche questi era con Lui», volendo significare che era un discepolo di Gesù. I domestici e l’altra gente di servizio che avevano partecipato alla cattura di Gesù si avvicinarono al forestiero e lo fissarono.
Pietro all’improvviso si vede oggetto della curiosità di tutti e viene sorpreso dalle domande: «che cerchi qui? Chi sei?» È sopraffatto dalla paura e immediatamente si rende conto del pericolo in cui si trova. Che succederà se sapranno chi sono?; all’istante immagina l’arresto e la morte.
ll martirio da lontano appare bello e desiderabile, ma visto nella sua terribile realtà fa tremare il cuore. Pietro rabbrividisce, perde la ragione e sembra gli manchi il terreno sotto i piedi; un nero velo gli offusca la vista e separa il passato dal presente. In questo momento così decisivo gli viene a mancare l’eroismo che presumeva di avere. Che fare? Fuggire è impossibile. Confessare la verità? Ma che ne sarebbe stato di lui? Cerca di salvarsi con una menzogna: «Non sono dei suoi».
Chi lascia il retto cammino e si espone al pericolo, facilmente scivola e cade sempre più in basso. Così arriva l’infelice affermazione che non ha alcuna giustificazione plausibile: «Non conosco quell’uomo».
Ma come Pietro, non conosci quell’uomo che prima era tutto per te, che amavi svisceratamente, col quale tutto ti riusciva e le cui parole ascoltavi affascinato?! Tu non conosci il Maestro? Il tuo Signore, il tuo Dio?… Oh, Pietro, come hai potuto dire una cosa simile?!
Infine Pietro, chiamando Dio stesso a testimone, incomincia a giurare di non aver nulla a che fare con quell’uomo, e con questo giuramento abbandona Gesù.
Che sofferenza dovette causare tutto questo a Gesù! Più di tutti gli schiaffi, le ingiurie e le volgarità della plebaglia che non lo conosceva. Più della sentenza di morte ignominiosa, pronunciata dal gran consiglio dei suoi nemici, e forse più del tradimento di Giuda, che in fondo era Giuda. Ma Pietro! Signore, volgi i tuoi occhi verso di lui; posa su di lui lo sguardo che con tanto amore lo aveva fissato quando, portato da Andrea, si era presentato davanti a te per la prima volta e tu lo avevi accolto nel numero dei tuoi eletti.